Si intrattengono rapporti personali, si condivide ogni momento della propria vita, si cercano offerte, ricette, post divertenti ma, purtroppo, ci si informa anche: oggi giorno si fa praticamente tutto sui social network e, naturalmente, le conseguenze sono catastrofiche.
I social, infatti, sono anche il luogo i malintenzionati vanno a caccia di click ed è per questo che proliferano le bufale con conseguenze gravissime. Nonostante Mark Zuckerberg abbia assicurato che solamente l’1% delle notizie postate su Facebook siano delle bufale, la realtà potrebbe essere ben diversa.
Nel frattempo, anche alla luce di studi che mostrano risultati ben diversi, l’azienda di Menlo Park ha assicurato che sta lavorando per riuscire a filtrare le bufale chiedendo aiuto agli utenti stessi. Il problema è che spesso, i primi a non saperle riconoscere, sono proprio gli utenti motivo per cui la soluzione proposta potrebbe non essere poi tanto efficace. Le centrali che producono fake news sono un problema per l’informazione di qualità e mettono in pericolo la nostra democrazia.
Ma non sono soltanto questi gli unici effetti in quanto, oltre all’opinione pubblica, molte notizia infondate portano i lettori ad assumere abitudini alimentari sbagliate, a curarsi con metodi non scientificamente provati, a non far vaccinare i propri figli o a impartire loro insegnamenti sbagliati se non effettivamente dannosi. Alcune volte riconoscere le notizie false è difficile ma in gran parte delle situazioni basta seguire qualche banale consiglio.
La prima cosa da fare, per esempio, quando un post eclatante ci incuriosisce, è quello di confrontarlo con altre fonti autorevoli. Se una sola testata pubblica la notizia di un ponte crollato evidentemente c’è qualcosa che non torna. Poi c’è la carta della fotografia, andando su images.google.com è facile scoprire se quello scatto, di dubbia autenticità, è già stata utilizzato: se risale a uno, due o tre anni fa ci sono buone probabilità che sia un falso storico oppure una bufala.
Altri indizi possano arrivare, inoltre, dalla registrazione al tribunale di una testata (l’informazione se c’è sarà facilmente individuabile spulciando la home o la pagina “contatti”), dal carattere utilizzato (i veri siti di informazione non scrivono titoli interamente in maiuscolo che invece i confezionatori di bufale utilizzano per attirare l’attenzione), dal tono volutamente aggressivo di determinate affermazioni che hanno lo scopo di suscitare l’indignazione del lettore o da immagini raccapriccianti che, per legge, non potrebbero essere pubblicate.
Un altro trucchetto è quello di cercare su Google i nomi di fantomatici esperti che avvalorano notizie di dubbia veridicità: l’assenza di riscontri equivale, nella maggior parte dei casi, ad aver smascherato un falso.